Ritratti "Speranza per il futuro"
Portraits “Hope for the future”
Una fotografa ai tempi del Coronavirus (SARS-CoV-2)
A photographer in the time of Coronavirus (SARS-CoV-2)
L’idea nasce dal voler dare spazio alla fotografia nella quotidianità ai tempi del Covid-19, anche quando è impossibile scattare un ritratto a pochi metri di distanza. Siamo in quarantena, nessuno può uscire di casa, allora entro io a casa della gente. Tramite una videochiamata colgo la persona nell’intimo delle proprie mura domestiche scattando un fermo immagine e puntando la mia Canon al telefono. I ritratti non rimarranno senza parole, do spazio alla loro voce in un momento in cui di spazio ce n’è poco.
Scatti che vanno dalla generazione più fragile di questo periodo, ma allo stesso tempo psicologicamente più forte, fino ai più giovani che vivono tutti in maniera diversa questo lock down. Chi lavora nell’ambito sanitario e non si può fermare proprio ora, chi ha una piccola impresa e si trova in difficoltà, una ricercatrice, uno psicologo che ci darà consigli su come non farsi prendere dall’ansia e c’è anche chi fa tutt’altro di lavoro, ma ora è una volontaria al servizio della società, questo solo per dirne alcuni. Dall’Italia al Canada, dagli Stati Uniti al Sudafrica, per finire in Inghilterra.
Sono partita da chi conoscevo per poi finire, tramite il passa parola, “a casa” di chi non conoscevo. È stata un’esperienza molto bella, soprattutto vedere come tutti si sono messi a disposizione, hanno “aperto” la loro porta e mi hanno raccontato la loro storia, i loro pensieri, le loro speranze, anche chi non mi aveva mai visto e mi ha conosciuto attraverso uno schermo. Grazie a tutti e un ringraziamento speciale va a Rossana senza la quale questo progetto non esisterebbe.
ENGLISH
This project aimes at getting us closer to people with various backgrounds, cultures, experiences to represent their hopes for the future post the Covid-19 pandemic. In a time when we are all in lock-down and we cannot leave our homes, I found in this project a way to connect with new people who have been extremely kind and generous and opened their homes and hearts to me.
This project comprises a series of portraits which bring to life people’s smiles and thoughts, representing the hopes of the most phisically vulnerable but psychologically strongest generation of this period as well those of the younger generations who are living the social distance and lock-down in various ways. The people you will meet through this series of portraits include - just to name a few - those who work in the health sector and cannot stop right now, those who have a small business and are facing the financial burden of the crisis, a researcher, a psychologist who shares his views on the meaning and importance of reading, dreaming and findings other ways to evade from our everyday lives, and a volunteer currently at the service of society. Through these portraits you will also travel the world, from Italy to Canada, from the United States to South Africa, to end up in England.
I hope this travel through photography will enrich you as much as it enriched myself; I am grateful to have met people who openely shared their story, their thoughts, their hopes, even if they had never met me before and saw me through a screen for the first time. A special thank you goes to Rossana; without her this project wouldn’t exist.
MARIO
Videochiamata con Mario (Firenze, Italia)Video call with Mario (Florence, Italy)
[ITALIANO]
Classe 1932, nato a Torino, ma trasferitosi poi a Firenze durante il liceo a causa della guerra. Mario è un medico psicologo specializzato in malattie nervosi mentali con tesi sul linguaggio schizofrenico. Durante gli studi lavorava come traduttore dall’inglese e dal tedesco e lì capì il suo interesse per la psicologia legata alla filosofia esistenzialista.
«Tutte le contingenze un po’ problematiche ho cercato di farle mie rendendo la situazione più proficua, all’inizio l’ho fatto senza rendermene conto, poi col tempo l’ho razionalizzato. Ora sto facendo la stessa cosa, leggo contemporaneamente quattro libri distribuiti temporalmente e spazialmente, uno lo leggo in una stanza, uno in un’altra e così via». Mario riesce attraverso la lettura a ritrovare una certa quotidianità perduta, i pazienti non li può ricevere nel suo studio e il fatto di essere recluso non gli fa sicuramente piacere però trova sempre un vantaggio nello svantaggio: «intanto il silenzio, la visione dal balcone di un pianeta che sembra diverso, chiarore, claritas, chiarità, qualcosa di non previsto. Infatti mi è venuta l’idea che il coronavirus sia un po’ il prodotto dell’inquinamento. Nasce in un’ area molto inquinata e da noi si è attaccato maggiormente nell’area più inquinata dell’Italia, dove la produttività viene perseguita a qualsiasi costo anche a scapito della natura. Il fatto che Greta Thunberg sia stata protagonista pochi mesi prima dello scoppio dell’epidemia forse c’ha un significato». Mario parla poi da medico psicologo della paura che molti possono provare in questo periodo e la più immediata è quella di perdere il lavoro, i proventi, di restare disoccupati, però c’è anche qualcosa di diverso, quando due persone si rincontrano dopo mesi sanno ciascuna che l’approccio dev’essere differente bisogna costruire un piacere, non è più un piacere spontaneo, ma è condizionato da quello che c’è stato prima. «Questo piacere si può costruire prima di tutto con un allenamento interiore, io credo che il binomio conoscenza/incontro e amore socratico sia più che mai attuale oggi, cioè accettare dell’altro qualsiasi cosa non importa cosa, fondere anime, fondere psicologie, soprattutto ascoltare è importantissimo, per me è anche abbastanza consueto lo applico nella mia vita, ma non è solo un fatto pratico, professionale, può essere anche un’acquisizione teorica e quindi un progressivo incontro nella ricerca di una sorpresa nuova, di scoperte nuove, io per esempio sto ricevendo dei messaggi stupendi e sono convinto che se non ci fosse stato il coronavirus non li avrei ricevuti». Mario per passare questa quarantena senza farsi prendere dall’ansia consiglia «prima di tutto non lasciarsi andare all’incertezza e quindi avere sempre un obiettivo, gli spazi sono ristretti, ma i tempi sono più lunghi, fare un rapporto più attuale, più utile tra spazi e tempi, per esempio l’idea è quella di ampliare la propria casa, stanze, fare ordine più comunemente, non solo ordine nelle cose, ma momento per momento, attimo per attimo, attendersi una sorpresa comunque. E soprattutto dare retta ai sogni, alle fantasticherie, è importante scrivere una specie di diario, lasciare il pensiero che fluisca, tutto quello che viene senza preoccuparsi della grammatica. Il sogno ancora di più, il sogno è assurdo ti fa fare cose stupende come volare e allo stesso tempo non ti lascia trovare il cellulare».
Mario è stato sempre molto positivo nella sua vita, anche adesso quando gli ho posto la domanda di come vede il futuro prossimo: «speranza sempre, la speranza è una delle virtù teologali, non è importante per questo, ma perché è collegata con la fede e con l’amore, se vedi oltre, il futuro può preoccuparti al massimo, ma non fare paura. Dobbiamo essere come le formiche, non dobbiamo lasciarci andare e quindi prendere pezzettino per pezzettino, vantaggio per vantaggio, ogni giorno ce ne porta uno e ci porta sicuramente tante preoccupazioni però abbiamo superato il dopoguerra che da un punto di vista pratico era molto peggio, non ci si poteva rifugiare in casa, da una mezz’ora all’altra la potevi perdere. C’è una barzelletta, anche nelle più gravi situazioni, non era mai successo che ci era stata data la possibilità di salvare l’Italia stando a casa». Durante la guerra Mario aveva dieci anni e fino a che è stato possibile andare a scuola c’è andato, poi hanno cominciato a bombardare il suo rione, ancora si ricorda quel 18 novembre del 1942 quando era sceso giù in cantina con i genitori, «tutto tremava, i calcinacci in testa, poteva crollarci la casa addosso ed è successo, non quella volta, accadde due giorni dopo, ma noi non c’eravamo più». Dopo quel 18 novembre Mario andò a Susa dai nonni e dall’altura vide i bombardamenti di Torino: «era tutto una pioggia di luce, ma avevo dentro di me la certezza che ce la saremmo cavata. Sono sempre stato positivo, da bambini è più facile esserlo si rasenta l’incoscienza ed è bellissimo, perché si crede nei miracoli. Vedendo la situazione attuale, tutta la mia vita e il mio modo di essere mi fanno affrontare con una certa serenità la contingenza, forse nasce da cosa ho costruito dentro o consapevolmente, o inconsapevolmente per grazia divina».
[ENGLISH]
Mario was born in 1932 in Turin and raised in Florence where he moved with his family during his adolescence because of the war.
During the war, Mario went to school until the enemies began to bomb his district. He still remembers that day - November 18, 1942 - when he had to hide in the cellar with his parents: «The building was shaking, rubble on our head. The house could have collapsed on us. It did not happen when we were there but two days later, when we were already on our way to Susa». After that day Mario went to Susa to stay with his grandparents. From Susa he could see the whole city being under attack: «It was like a rain of light, but I had the certainty that we were going to survive. I have always been an optmistic. As children it is easier to be positive, your optimism is close to unconsciousness; you believe in miracles. Since that moment i always faced the challenges in my life, including the current situation, with a certain serenity».
Mario is a doctor specialized in mental health and has a passion for helping people with nervous diseases (in fact his university thesis was on schizophrenic language). During his studies he developed an interest not only in psychology but also in the intersection between psychology and existentialist philosophy.
«In all the challenging times I faced in my life, I applied my learning from psycology and philosophy to help me go through these difficult time. This pandemic is one of those difficult times; I try to create new mental experiences that help me evade from the loneliness and worries of the quarantine. As an example I simultaneously read four books with different temporal and special dinamics: I read one in a room, one in another and so on». Despite the challenging times that we are all living, Mario always finds the bright side and sees this as an opportunity to enjoy the little things: «silence, the view from my balcony of a planet that seems different, flare, claritas, clarity, something not foreseen. So I came up with the idea that coronavirus is the product of pollution. It was originated in one of the most polluted countries of the world and, In Italy, it has been more aggressive in our most polluted regions where productivity is pursued at any cost, to the detriment of nature. The fact that Greta Thunberg was the protagonist few months before the epidemic perhaps has a meaning».
As psychologist, Mario not only focuses on his mental wellbeing but also on others’. He tells me the sense of fear that characterises our lives today: many fear to lose their job in a country where we have a high unemployment rate expecially for the younger generations; others fear something different, intangible.
Mario then highlights the opportunity that we have before us to dramatically change our interactions and relationships post pandemic. When two people meet after such a long period of mental and physycal separation, the behaviours need to be different from before. You have to build a true, deep connection and pleasure in spending time with the other person. Mario has some suggestions for us on how to think differently about our relationships: «I believe that Socratic love is more actual today than ever. Accepting each other, no matter what. Melting souls, melting psychologies, but above all it is listening which makes the real difference in our relationships. This crisis is also resulting in new encounters, surprises, new discoveries; for example I am currently receiving wonderful messages that I would not have received otherwise. »
Mario gives us some advice on how to manage anxiety: «First of all do not let yourself go to uncertainty, always have a goal. Spaces are tight, but times are longer, so spend your time expanding your mental and physical space. Make order in your home as well as in your mind; let your thoughts flow, write a diary and dream. Dreaming makes you doing complicated things – like flying – and getting lost in the simple routine of our everyday lives, such as finding our phones».
Mario is always optimistic. When asked about the future Mario stresses the importance of hope: «You always have to hope for better things to come. Hope is connected with faith and love. If you see beyond your present, you find the strenght to survive and face the difficult times. We should build out future piece by piece. We survived the post-war period that was far worst than this pandemic. It is funny how now we are complaining about saving lives and our country by simply staying at home».
CLAUDIO
Videochiamata con Claudio (Ischia, Italia)
Video call with Claudio (Ischia, Italy)
[ITALIANO]
Claudio è un infermiere dell’area Covid-19 dell’Ospedale Anna Rizzoli di Lacco Ameno (Ischia). «Lavoravo in un reparto normale fino a quando è scoppiata questa pandemia e tutti siamo stati catapultati in questa nuova realtà a noi sconosciuta». All’inizio ovviamente c’è stato un po’ di terrore perché si sono dovuti adattare ad una nuova situazione e al contempo iniziavano ad accogliere diversi pazienti che risultavano positivi nella loro area. Come dico sempre nella sfortuna c’è un po’ di fortuna, il primario del reparto è un infettivologo ed è stato molto bravo a organizzare dei corsi di formazione per il personale. È importante imparare a vestirsi con quelle tute e quei caschi, come dice Claudio la “bardatura”, dove bisogna essere attenti, calmi e psicologicamente fermi, ma ancora più importante la svestizione, fatta con una procedura particolare, perché è questa che può portare ad un inquinamento degli abiti sottostanti e di te stesso. «Per sdrammatizzare un po’ le cose, sotto guida del mio primario, abbiamo deciso di mettere su ogni tuta un identificativo: chi si mette la foto, o chi scritte divertenti come “I love you”, o slogan “forza ce la facciamo!”».
Claudio, come tanti altri del suo settore, continua a ripetere che gli eroi non sono loro, ma i pazienti stessi che riescono a superare la battaglia, «vediamo nei loro occhi il terrore, la paura, è una patologia che ti toglie il respiro, l’aria e vederli soffrire ci porta anche a noi tanto dispiacere, ma quello che ci dà forza è la loro stessa forza di combattere, di farcela, perché attraverso loro abbiamo acquisito l’esperienza e il coraggio anche nei momenti dove ci siamo avviliti». Non possiamo neanche immaginare che battaglia sta combattendo chi viene ricoverato e la paura che Claudio legge negli occhi lo incoraggia a sorridere ai suoi pazienti, a dargli una carezza a non far mai trasparire la benché minima preoccupazione.
Da parte del personale sanitario c’è tanta stanchezza fisica e morale, «la stanchezza dopo tanto tempo ti prende, però poi quando stai in ospedale e vedi i loro miglioramenti lì scatta la forza e ripeti a te stesso andiamo avanti, uniti per raggiungere quell’obiettivo e speriamo di poterci riabbracciare di nuovo». Claudio quando entra in reparto e vede i sorrisi dei suoi pazienti si dimentica di tutto e acquista quella carica inspiegabile.
È importante prendere il buono da ogni situazione, anche la peggiore: «il lato positivo di questa quarantena è che chi sta lavorando in prima linea come noi ha riscoperto ancora più di prima la propria missione, essere uniti e il rapporto diretto con i pazienti», ma c’è anche un unione maggiore per chi sta a casa, tra flash mob dai balconi e abbracci virtuali a distanza: «questo virus ci ha uniti, ha fatto riscoprire cos‘è la carità, la solidarietà, l’amore e il rispetto verso il prossimo». Un bell’esempio di unione è il rapporto di amicizia che nasce tra infermiere/medico e paziente: «ci si scambia il numero di telefono e ci siamo ripromessi che quando finirà tutto faremo una bella rimpatriata!». Per non parlare poi dell’esempio di solidarietà che sta dando il popolo ischitano, come mi racconta Claudio, mettendo a disposizione un sostegno di qualsiasi genere, dall’albergo per il personale sanitario che si vuole fermare nelle vicinanze, ai rifornimenti di DPI (dispositivi di sicurezza) per l’ospedale, oppure talvolta la mattina arrivano dei cornetti per la colazione, per non parlare del casatiello, pastiera e uova di Pasqua, insomma questi sono i gesti più belli che ti fanno tornare il sorriso anche in una giornata difficile come può essere quella di un infermiere in prima linea. Il personale sanitario dell’ospedale Anna Rizzoli non è in quarantena in quanto è scrupolosamente controllato in maniera cadenzale, quindi la decisione di rimanere in albergo è libera. Claudio preferisce stare qualche giorno in hotel per ridurre possibili passaggi dopo la svestizione e diminuire quindi lo stress, dopodiché torna a casa dalla sua famiglia e dalle sue parole si intuisce subito che sono persone unite e credenti. I familiari di Claudio sanno che quando lui torna a casa non parla subito, gli devono aprire la porta, si leva le scarpe sullo stuoino e le mette in terrazzo dove lascia anche la sua giacca per 48 ore, poi mette i vestiti a lavare con Amuchina e pulisce ogni zona che ha toccato, tipo la maniglia della porta, con la candeggina, si fa la doccia ed è pronto finalmente per stare con la famiglia.
Poi ho chiesto a Claudio se aveva qualche consiglio particolare da dare a noi per una migliore prevenzione: «posso solo dire che anch'io all’inizio non ci credevo fosse così virulento questo virus, l’ho capito bene quando sono sceso sul campo e ho visto con i miei occhi. Restate a casa, evitate qualsiasi forma di non rispetto delle regole, perché veramente basta un niente e improvvisamente ti trovi positivo asintomatico oppure dall’asintomatologia ti ritrovi in un letto. È vero che tutti sono stanchi di stare chiusi in casa e c’è anche tanta difficoltà economica, però se ci sono delle regole vanno rispettate proprio per il bene comune».
Riguardo al futuro Claudio è positivo, lo è di natura ed è speranzoso che, una volta che potremo lasciarci tutto questo alle spalle, non ci dimenticheremo ciò che il virus ci ha insegnato in questo periodo mettendoci a dura prova, ad esempio che non ci siano più differenze tra nord e sud, l’unione delle nazioni nella sperimentazione verso un unico obiettivo, come adesso un farmaco che distrugga questo virus, il vero valore della famiglia: «il virus ha aperto il nostro cuore, evidentemente non stavamo andando nella direzione giusta, quindi siamo tornati indietro a tanti anni fa quando esisteva quella solidarietà che il tempo e il materialismo ci ha fatto scomparire».
[ENGLISH]
Claudio is a nurse. Today he works in the Covid-19 emergency unit of the Anna Rizzoli Hospital of Lacco Ameno (Ischia). «This pandemic quickly changed our lives and took us to this new, mysterious reality that we – as health professionals – never faced before». Claudio tells me how he and his colleagues were initially scared; they were not ready yet to cope with the pandemic and – at the same time – they were already seeing an increasing number of people with Covid-19 symptoms being hospitalised. «I always say there was some “fortune in this misfortune”. The head of the department is an infectious disease specialist. He quickly organised training for our staff, including what to wear and how to dress. You have to be careful, calm and psychologically stable and calm. The undressing process is even more important than the dressing one. There is a specific procedure to be followed; if you do not follow it the risk is to contaminate the underlying clothes and yourself too. To cheer up things, we decided to put on each suit an identifier: someone put a picture, or funny things like "I love you" or a motivational slogan "let's do it! “».
Claudio, like many others in his sector, does not recognise himself as a hero. To him the real heros are the patients fight this battle: «We see terror, fear in their eyes. It is a disease that literally takes your breath away. Seeing people not being able to breathe, suffering without being able to talk and seeing their relatives brings us so much pain. But our patients are strong and makes us strong. We are willing to fight because through them we have acquired the courage we need to keep going, even when we were disheartened» .
We are facing a lot of pressure, physical and moral tireness: «After long weeks with patients, you have some moments of weakness. But then you go back to your work, your mission; you see your patients improving and continuing to fight. This brings your motivation back, and gives you the energy to go ahead, together, side by side, united to achieve that unique important objective: being able to hug each other again».
It is important to look at the bringht side: «The positive side of this quarantine is that those who are working on the front line - like us - have rediscovered their mission, the motivation that made them chose this career. We are all bonding and supporting each other. We feel an unprecedented deep connections with our patients».
But there are also other ways of bonding from distance. In italy we were the first to ideate flash mobs from balconies, dancing on rooftops, singing from our windows and using technology to give each other virtual hugs: «This virus has brought us together to rediscover charity, solidarity, love and the respect for others». This pandemic is also bringing new friendships. Doctores, nurses and patients develop a bond which goes beyond the professional patient-doctor relationship. «We are exchanging our phone numbers with our patients. We promise to each other that when this will be over we will all get together again to celebrate».
The people of Ischia are also supporting their community, from making hotels available to the healthcare personnel who needs to stay nearby the hospital to supplying the hospital with PPE (personal protective equipment). A positive note is also the morning croissant or casatiello (product of the Neapolitan cuisine), pastiera (a typical Neapolitan cake) and Easter eggs which are at times delivered for free at the hospital to cheer up the staff.
«These are the most beautiful gestures that make you smile again even in a difficult day». The health staff of the Anna Rizzoli hospital is not in quarantine as it is scrupulously regularly tested for Covid-19. However many staff members decide to stay in the nearby hotel to limit the spread of the virus rather than travelling back home to their families. Claudio is one of these people. Claudio explains me how depote being logistically far from his family they feel even more united than before.
When he comes back, Claudio has to follow a strict procedure to limit the risk of contaging his household.
First, he takes off his shoes, puts them on the mat and then takes them to the outdoor balcony where he leaves shoes and jacket for 48 hours. Then Claudio leaves washes his clothes \ with disinfectant and cleans every area that he touched – including the door handle - with bleach. Eventually, after having taken a shower, he can relax and spend time with his family.
Claudio gives us some advise on how to prevent being infected: «In the firts phases of this pandemic I did not believe this virus could be so contagious. I only understood the severity of the situation when I started treated patients in the field and I saw what this virus can do with my own eyes. Stay home, follow the rules. If you do not you may find yourself being a positive asymptomatic - or worse - hospitalised. It is true that everyone is tired of being in lock-down and we are all facing economic uncertainty and difficulties. But if there are rules, these must be followed for the common good».
Claudio hope for the future is that we will not foget the lessons that we are learning during this pandemic. For example that we are one country, and there should not be rivalry between the North and the South of Italy. Nations should we united in fighting this virus. The scientific community should collaborate internationally towards a common goal, prioritising lives over profit. And above all the importance of the family: «The virus opened our hearts, we were not heading in the right direction, so we went back to the values that we saw in our society many years ago, when there was the solidarity that time and materialism fade away».
MARGUERITE
Videochiamata con Marguerite (Vancouver, Canada)
Video call with Marguerite (Vancouver, Canada)
[ITALIANO]
Nata nel North Carolina, ma attualmente vive a Vancouver in Canada, un paese, come mi racconta Marguerite, che sta affrontando molto bene questa quarantena, i canadesi sono persone ubbidienti e la situazione è sicuramente meno grave sulla costa occidentale piuttosto che nell’est del paese come in Quebec.
Dantista, ex professoressa della British Columbia che a 10 anni nel 1952 è venuta in Italia con la famiglia, a Firenze, pieno dopoguerra, ha visto una città con i ponti bombardati. Marguerite ha viaggiato molto, una volta in pensione si è dedicata ad attività di volontariato in Africa, Kenya, dove ha tuttora un'associazione benefica che aiuta economicamente le ragazze di famiglie più povere a completare gli studi, le porta fino all’università, anche per evitare che a 13 anni rimangano incinta o si sposino, due delle problematiche frequenti di quella zona. Attualmente porta avanti questa associazione con un assistente del posto che la aggiorna anche sulla situazione attuale dell’Africa. In Kenya per fortuna ad oggi non ci sono molti casi di Covid-19, ma dipende anche dalla zona, ad esempio già a Nairobi la situazione è diversa: «ci sono 5/10 famiglie che condividono un bagno e allora lì è la gioia del virus. Fortunatamente il governo ha preso molto sul serio la situazione e ha messo la polizia da tutte le parti non lascia entrare e uscire nessuno, addirittura sparano a chi rompe il coprifuoco, la situazione è sicuramente terrificante, l’Africa è piena di potenziale, ma è complicato. Le ragazze non stanno andando a scuola, non hanno un computer a casa, ma fino all’estate sicuramente rimarrà chiusa, vediamo quando riaprirà, ancora non ci hanno detto niente».
Marguerite è americana, ma ha rinunciato alla cittadinanza da due anni, quindi ormai canadese a tutti gli effetti ha vissuto negli Stati Uniti, in Italia e Africa, ma parla del paese dove vive come quello politicamente migliore, «è terrificante la situazione americana come per il resto del mondo, d’altra parte sento tutti che vogliono tornare alla loro vita di prima, ma io dico che forse non è il caso, abbiamo l’aria più pulita, quindi perché non cominciamo veramente una specie di rivoluzione verde, è il momento di approfittare di questa situazione. Credo di essere nella grande minoranza perché tutti vogliono tornare agli stessi lavori, io vorrei lavori che sporchino meno l’aria». Grazie Marguerite per la tua riflessione, mi viene da pensare che anche questa volta il virus ci ha fatto vedere qualcosa, ci ha aperto gli occhi sull’inquinamento globale, tornare ad una vita normale sì, ma forse se riuscissimo a sentirci più abitanti, e non padroni del mondo, sarebbe meglio.
[ENGLISH]
Marguerite is born in North Carolina but lives in Vancouver Canada, a country which is facing this quarantine better than other countries. The Canadians are obedient people and the situation is certainly less serious on the west coast rather than in the east of the country - like in Quebec.
Marguerite is a “dantista” (i.e. someone specialised in Dante’s work) and former British Columbia professor. During her life Marguerite has traveled extensively, and once retired she has dedicated her time to volunteering in Africa, Kenya. She still runs a charity in Africa which provides financial help to girls from poorer families to allow them to continue and complete their studies. Marguerite’s strategy is to have as many women as she can continuing their studies post high school and pursuing a university degree. Education is a mean to emancipate these women and to save them from seeing as their only way out getting pregnant and then married at a very young age. Marguerite collaborates with local staff based in Africa. She therefore receives live updates on the Covid-19 crisis in Africa and more specifically in Kenya.
Fortunately, the numbers today tell us that there are not many cases in Kenya although some regions have been more impacted than others. For example in Nairobi the situation is more critical: «There are 5/10 families who share a bathroom. The government seems to have taken the situation very seriously and is using the military forces to control people’s movements. They do not let anyone in or out the various cities and they even shoot those who break the curfew. The situation is certainly terrifying. Africa is full of potential but this pandemic will jeopardise the progress made so far. Girls are not going to school, they do not have a computer at home and schools will be certainly closed until summer».
Marguerite is American, but two years ago she decided to renounce to her citizenship. She has lived in the United States, Italy and Africa, and based on her experience Canada is still the one with the best political agenda. «I hear many want to go back to their former lives. I am probably one of the few that thinks that this is not a good idea. We have cleaner air, so why don’t we start a green revolution, this time for real? It is time to take advantage of this situation». Thank you Marguerite for your reflection. The virus showed us the effects of pullition and a contamined environment. It opened our eyes to the need to take action and rething our relationship with the environment, as inhabitants and part of a broader ecosystem what we should respect and nurture, rather than as masters of the world.
WU DI
Videochiamata con Wu Di (Milano, Italia)
Video call with Wu Di (Milan, Italy)
[ITALIANO]
Giovane mediatrice culturale, nata in Cina trasferitasi in Italia da dieci anni, in questo momento di difficoltà ha cambiato la sua quotidianità facendo volontariato. La sua famiglia vive nella regione Anhui, a circa sei ore di macchina da Wuhan (epicentro della pandemia). Fortunatamente stanno tutti bene, nella sua regione ci sono stati pochi casi e già dall’inizio di aprile hanno ricominciato una vita normale.
Wu Di vive a Milano con suo marito e l’anno scorso ha aperto insieme ad altri due soci un negozio di tè cinese. Il negozio di Wu Di è molto particolare, oltre ad essere una sala da tè organizza degli eventi: dalle lezioni di tè, alla calligrafia, musica classica cinese, solo per dirne alcuni. «L’anno scorso ho aperto questa sala da tè con altri due soci cinesi, è stato un po’ un fuori programma. Mi piace trasmettere la cultura del tè, ma non avevo pensato a venderlo, poi ho incontrato loro e mi hanno coinvolta nel progetto. Sono stati molto intensi i lavori da settembre fino a febbraio, prima della pandemia, ho lavorato durissimo, immaginati una novità così in una città come Milano dove tutti corrono. La situazione lavorativa adesso è un po’ complicata, non potendo fare questo lavoro a casa. Ora siamo chiusi da due mesi, il 18 maggio possiamo riaprire come vendita al dettaglio, la parte del bar dal primo giugno. Il problema è che in Italia non c’è la tradizione di bere il tè quotidianamente, è vista più come un’esperienza, quindi non abbiamo dei clienti fissi che vengono tutti i giorni, insomma non è come per il caffè!».
Per il futuro prossimo Wu Di cerca di non preoccuparsi più del dovuto, la situazione non è facile, ma «io sono una persona positiva. Una cosa invece che mi dispiace e che mi rattrista molto è che per un po’ gli italiani non potranno riabbracciarsi, questo pensiero mi ha fatto impressione. Ho contatto con gli italiani da dieci anni e credo di conoscere abbastanza l’Italia e gli italiani, mi sono integrata bene, oltre al fatto che ho un marito italiano. Per noi cinesi gli abbracci, i baci, non fanno parte della quotidianità, però per gli italiani vivere senza gli affetti, i contatti fisici, sarà dura, non posso sentirlo sulla mia pelle, ma lo sento nel mio cuore e purtroppo dobbiamo cercare di affrontarlo».
Verso la fine della nostra chiacchierata Wu Di mi racconta che sta facendo volontariato: ho trovato quello che mi ha detto oltre che interessante, bellissimo. «Quando sono entrata nell’ufficio di questa organizzazione c’era una ragazza che mi ha chiesto come mi chiamavo e mi ha stretto la mano, subito dopo mi ha dato un tubo di alcol per pulire le mani, era la prima volta che qualcuno mi toccasse, oltre mio marito, in questo periodo!». Fin dall’inizio della pandemia questa associazione ha cominciato a mandare avvisi alle persone più anziane sul come comportarsi. Inoltre fanno la spesa, comprano i farmaci, insomma risolvono diversi problemi per le persone che hanno più bisogno.
Nella chiacchierata con Wu Di ho trovato quel pezzo d’Italia che aiuta, i giovani che mettono in gioco la propria vita per gli altri, ho trovato la vera risorsa del Paese. Le faccio un grande in bocca al lupo, per il suo business e per tutti i suoi progetti futuri, anche perché quando tornerò a Milano devo assolutamente vedere il suo negozio e degustare almeno un tè!
[ENGLISH]
She is a young Chinese cultural mediator who moved to Italy ten years ago. In this moment of difficulty she changed her daily life through volunteering. Her family lives in the Anhui region, about six hours by car from Wuhan (pandemic epicenter). Fortunately, everyone is doing well. In her region they have been few cases and since the beginning of April they went back to normal life.
Wu Di lives in Milan with her husband and she opened last year a Chinese tea shop together with two other partners. Wu Di's shop is very particular, as well as being a tea room, she organizes events: from tea lessons, to calligraphy, classical Chinese music. «Last year I opened this tea room with two other Chinese partners, I didn’t plan on this. I like to transmit the tea culture, but I hadn't thought about selling tea. Then I met them and they involved me in the project. The work was very intense from September until February. Before the pandemic, I worked very hard, imagined something new in a city like Milan where everyone runs. The working situation is now a bit complicated, since I cannot do this job at home. We have been closed now for two months, on May 18 we can reopen as a retail part but for the tea room we have to wait until June 1st. The problem is that in Italy there is no tradition of drinking tea on a daily basis, like coffee. It is rather considered as an experience, so we don't have regular customers who come every day».
For the next future Wu Di is a little bit worried, the situation in not so simple, but «I'm positive. I am very sad and sorry about the idea that Italians cannot hug for a while, this impressed me a lot. I have been in contact with Italians for ten years and I think I know enough about Italy and Italians. I am well integrated, besides the fact that I have an Italian husband. For Chinese people, hugs and kisses are not part of everyday life. But for Italians to live without affections, physical contacts, it will be hard. I can't feel it on my skin, but I feel it on my heart and we have to deal with it».
Towards the end of our chat Wu Di tells me that she’s volunteering now and I found it so interesting and beautiful. « When I entered the office of this organization there was a girl who asked me my name and shook my hand. Then she immediately gave me a tube of alcohol to clean my hands. It was the first time that someone touched me, besides my husband, in this period!» Since the beginning of the pandemic, this association has started to send warnings to elderly and fragile people about how to behave. They also do shop, buy drugs and in short, they solve various problems for people who need it most.
During my conversation with Wu Di I found that piece of Italy that helps. I found the real resource of the country, the young people who put their lives at stake for others. I wish her big good luck for her business and for all her future projects especially because when I will come to Milan I absolutely have to see her shop and taste at least one of her tea!
MELISSA
Videochiamata con Melissa (Roma, Italia)
Video call with Melissa (Rome, Italy)
[ITALIANO]
Giovane imprenditrice madre di due bimbi. Melissa viene da Ravenna trasferitasi poi a Roma dopo la laurea inseguendo così il suo sogno di costruire qualcosa di proprio legato al mondo della moda e dei colori. Così nacque nel 2009 un piccolo negozio di 15 mq di abbigliamento femminile; col tempo Melissa si è ampliata aprendo un negozio più grande e ha affiancato, ai marchi che già trattava, una sua linea di abbigliamento. «Viaggio tanto per lavoro e vado alle fiere che si tengono in Spagna, Francia, Inghilterra, Germania proprio per cercare novità che siano particolari, originali e ben lontane da ciò che propone la grande distribuzione massificando il gusto. Uno dei miei valori è proprio quello di tirare fuori lo stile personale, qualcosa che è dettato da noi, dalle nostre inclinazioni, i nostri gusti. In questo periodo da un lato c’è una crisi totale che ci sta investendo e quindi ci saranno e ci sono già tante difficoltà, perché comunque un’impresa se non fattura muore per cui credo che moriranno tante imprese. Spero di non essere tra queste, io sto cercando di fare il possibile perché questo non accada. Per muoversi fisicamente in altri paesi ci saranno dei limiti almeno per i prossimi 6 mesi, un anno, ma per un'azienda come la mia che è molto radicata nel territorio è anche un’opportunità: la mia linea di abbigliamento è totalmente made in Italy e tante aziende con cui lavoro sono made in Italy quindi credo che i consumatori stiano rivalutando l’importanza del ruolo che ha un negozio di vicinato. La città è morta nel momento in cui hanno chiuso i negozi. Chiudere le attività piccole come noi che stiamo sulla strada, quindi fortemente radicate nel territorio e nel quartiere, vuol dire far morire una città infatti quando abbiamo chiuso, la città è diventata fantasma. Con ciò credo e spero che anche i consumatori facciano una riflessione in più su quello che è il nostro ruolo, perché noi combattiamo con la grande distribuzione, che sicuramente ha un potere comunicativo, commerciale e anche produttivo che è imbattibile per noi piccoli. Però ripeto noi diamo un servizio non solo di vendita del prodotto, ma anche di presidio del quartiere; inoltre essendo produzioni piccole e locali valorizziamo quello che è il nostro patrimonio, creare qualcosa senza andare all’estero. Ci sono grossi problemi, ma ci sono anche grandi opportunità per far sentire ancora di più la nostra voce»
Melissa Boutique non è un semplice negozio, è qualcosa di più, è un punto di incontro, non solo di acquisti, ma anche di eventi e workshop organizzati da Melissa. «Una delle mie frasi ispiratrici è proprio quella di avere abiti e accessori felici proprio perché il negozio non è solo un luogo fisico. Quello che vorrei far arrivare è di non rimanere legati solo all’acquisto, quindi alla transazione economica, ma offrire qualcosa che vada oltre, un servizio personalizzato per ogni cliente partendo proprio da quella che è la sua personalità». Quando si entra dentro Melissa Boutique si viene rapiti da un caleidoscopio di colori, Melissa continua a specializzarsi seguendo diversi corsi come quello sulla consulenza di immagine e sull’armocromia e così ha iniziato a tenere dei workshop in negozio. «La cliente quando viene da me si sente accolta in un luogo che risuona con quello che sono le sue inclinazioni, esigenze ed incertezze».
In questa quarantena Melissa cerca di non sprecare questo periodo di chiusura forzata. Innanzitutto a livello personale c’è la riscoperta del valore familiare: «avendo dei bambini piccoli questo per me è un tempo preziosissimo», ma per quello che riguarda la sua vita lavorativa ci sono i pro e i contro. «Questa pausa forzata la giudico come un periodo mentalmente fertile, perché mi sta offrendo l’opportunità di vedere tante cose attraverso il pensiero divergente, ovvero qualcosa che sia diverso da quello che ho fatto fino ad oggi, oltre al fatto che siamo obbligati ora a vedere le cose da un altro punto di vista. Per cui anche a livello lavorativo sin da subito ho cercato di trovare qualcosa di parallelo oltre il negozio fisico, per cercare di comunicare sempre con i miei clienti». Melissa mantiene la comunicazione attraverso i social e soprattutto ha creato il negozio online, progetto che era già in cantiere da tempo. Inoltre sta lavorando a workshop online, «in un momento di tragedia nazionale la gente oltre ad avere le notizie sull’evoluzione dell’epidemia ha anche tanta voglia di leggerezza».
Per il futuro Melissa non si sbilancia, non è né positiva né negativa, piuttosto dice di essere realista: «credo che molto dipenda da come le persone si comporteranno, da come agiremo tutti. Se siamo tutti responsabili potremo tornare piano piano alla normalità e tanto dipenderà da questo, da quanto le persone siano disposte a seguire le regole in vista di un risultato futuro, più ci impegniamo adesso più riusciamo ad uscirne prima. Per il mio lavoro bisogna ripensare a tutto, affiancando a quello che era il fisico sempre di più il digitale a livello di servizi, logistica e comunicazione. Sicuramente andiamo incontro ad un periodo di sacrifici, le aziende stanno soffrendo, soffriranno e molte chiuderanno. La nostra bravura sarà quella da un lato di contenere le spese e dall’altro trovare vie alternative per riuscire a lavorare, quindi sicuramente bisogna ripensare il lavoro trovare modalità nuove ed inedite. Io sono abbastanza realista penso che ci siano tante criticità, ma comunque non abbiamo le mani legate».
[ENGLISH]
Young entrepreneur mother of two children, Melissa comes from Ravenna and then moved to Rome after graduation pursuing her dream of building something of her own linked to the world of fashion and colors. So a small women's clothing shop of 15 square meters was born in 2009. Then Melissa has expanded by opening a larger shop and starting her own line close the brands of small productions that have attention to details and materials. «I travel a lot for work and I go to the fairs that are held in Spain, France, England, and Germany looking for news that are particular, original. Something different from the large-scale retailers standardizing the taste. One of my values is precisely to bring out personal style, something that is dictated by us from our inclinations, our tastes. In this period from one side there is a total crisis that is affecting us and therefore there will be and there are already many difficulties. if a company doesn’t make money it will dies. So I believe that many businesses will die. I hope to be not among them, I am trying to do everything possible to prevent this. There will be travel limits to go in other countries for at least the next 6 months, maybe a year, but for a company like mine that is very rooted in the territory it is also an opportunity: my clothing line is totally made in Italy and many companies I work with are Italy based so I believe that consumers are re-evaluating the importance of the role that a neighborhood shop has. The city died when the shops were closed. Closing small businesses like us on the road means killing a city, in fact when we were forced to close the city became a ghost town. Moreover, I believe and hope that consumers also make an additional reflection on our role because we fight with large retailers, which certainly has a communicative, commercial and even productive power that is unbeatable for us. But, again, we provide a service not only for selling the product, but also for protecting the neighborhood. Moreover, as small and local productions we value what our heritage is, creating something without going abroad. There are big problems, but there are also great opportunities to make our voice loud and clear».
Melissa Boutique is not just a shop, it is something more. It's a meeting point with events and workshops. «One of the thing which inspires me most is to have happy clothes and accessories because the shop is not just a physical place. What I try to do every day it’s not only to have the economic transaction, but to offer something that goes further, a personalized service for each customer starting from what is her personality». When you enter in Melissa Boutique you are rapt by a kaleidoscope of colors. Melissa continues to specialize by following different courses such as about image consultancy and color harmony, so Melissa has started holding workshop in her store. «When the client comes to me, she feels welcomed in a place that resonates with her inclinations, needs and uncertainties».
In this quarantine Melissa is triyng not to waste this period of forced closure. First of all on a personal level there is the rediscovery of family value, «having young children this is a very precious time for me». But for what concerns her professional life there are good and bad things. «I consider this forced break as a mentally fertile period, because it is offering me the opportunity to see many things through the divergent thinking: something that it’s different from what I have done until now, in addition to the fact that we are now obliged to see things from another point of view. So even at a working level, I immediately tried to find something parallel beyond the physical store, to always keep communicating with my customers». Melissa maintains communication through social media. Moreover, she created the online store, a project she had been thinking for some time. She is also working on online workshops: «in a moment of national tragedy, in addition to having news about the evolution of the epidemic, people also have a great desire of lightness».
For the future Melissa doesn’t take a position, rather she is realistic: «I believe that a lot depends on how people behave, on how we will all act, if we are all responsible we can slowly going back to normal. So much it will depend from this, how many people are willing to follow the rules in view of a future result. The more we engage, the more we manage to get out of it sooner. For my work we need to think again everything, adding digital to the physical in terms of services, logistics and communication. Certainly we are facing a period of sacrifices, companies are suffering, they will suffer and many will close. Our skills will be from one side to contain expenses and on the other to find alternative ways to be able to work. I am quite realistic, I think there are many critical issues but still it is up to us».SERENA
Videochiamata con Serena (Sudafrica)
Video call with Serena (South Africa)
[ITALIANO]
Serena è una ricercatrice di scienze marine e sociali, ha lasciato l’Italia a 18 anni per laurearsi in Scozia in zoologia, proseguendo poi il dottorato in Australia nel Queensland sulla Sunshine Coast dove studiava le scienze ambientali con indirizzo di ecologia costiera. In ambito accademico ha capito che sarebbe stato molto difficile rimanere in Australia in quanto gli australiani hanno regole molto rigide con gli stranieri. Infatti nel 2011 ha avuto l’occasione di trasferirsi in Sudafrica con una borsa di studio post dottorato. Serena tuttora vive qui dove ha incontrato quello che è diventato suo marito.
Venendo ai giorni nostri e alla situazione attuale sicuramente il Sudafrica è la parte più sviluppata di tutta l’Africa quindi è anche quella che è riuscita ad affrontare meglio la pandemia: «il modo in cui il Sudafrica sta vivendo questa quarantena influenza il modo in cui noi altri la viviamo. Il presidente ha potuto agire per tempo osservando gli altri paesi e ha dichiarato di conseguenza il lock down prima che fosse troppo tardi. La quarantena è iniziata il 26 marzo e siamo tuttora chiusi. Il primo maggio inizia la fase 4 e più o meno rimane tutto uguale, riapriranno in pochi. I casi in Sudafrica sono meno di cinquemila con 85/90 morti, molto poco insomma rispetto ad altri paesi nel resto del mondo. In questo c’è una certa soddisfazione, ci si sente più a proprio agio. Noi siamo abbastanza rilassati. Per quanto riguarda me la quarantena la sto vivendo molto bene purtroppo e per fortuna. Purtroppo perché mi dispiace che ci sia gente che sta morendo di fame, o persone anziane che hanno paura perché sono più a rischio. Al contempo ho un certo livello di confidence perché sto bene e il mio lavoro non è stato intaccato in nessun aspetto, anzi la mia produttività è pure aumentata, inoltre sto con mio marito, il che non mi dispiace! C’è sempre la preoccupazione di fondo di cosa succederà al mondo economicamente parlando, anche se da un punto di vista ambientale ecologico sono contenta che ci sia stato una sorta di break sulle pressioni che incidono l’ecosistema».
Il futuro del Sudafrica Serena lo vede incerto, a prescindere dal virus, perché è un paese molto instabile a livello sociopolitico, «anzi questa situazione forse ha dato un po’ più di forza, di sostegno da parte delle persone nei confronti delle autorità del paese, anche se ci sono sempre problemi a livello razziale, una pandemia non può portare via queste cose. Quando torneremo al lavoro e a fare la vita di tutti i giorni, insomma quando il paese riaprirà, si tornerà alla quasi normalità da una parte, ci sarà un'esplosione di turismo per recuperare il tempo perduto, ma dall’altra ci sarà gente che economicamente dovrà cercare di ripartire da zero. Le relazioni interpersonali non saranno proprio più uguali, almeno per un po’, forse tra un cinque/sei anni si tornerà alla normalità, ma il contatto fisico, lo stare vicino, verrà evitato il più possibile, quindi ci sarà più solitudine. Per quanto riguarda il mio campo abbiamo notato che è iniziato un nuovo processo di ricerca scientifica, ci sarà un boom che durerà si e no un decennio tutto di ricerca basato sull’impatto del coronavirus. I ricercatori adesso avranno ampie opportunità e ci saranno anche i fondi, soprattutto per quelli che si occupano dell’ambito medico virologico. Si porteranno avanti anche altri tipi di ricerche dal turismo, al campo economico, politico».
Al momento la paura di Serena è quella di un'eventuale seconda ondata alla riapertura del paese, è sicuramente la paura di tutti, però lei cerca di rimanere positiva, proviamoci anche noi!
[ENGLISH]
Serena is a marine and social science researcher who left Italy at the age of 18 to graduate in zoology in Scotland. Then, she pursued her career in science with a PhD in Australia in Queensland on the Sunshine Coast where she studied environmental sciences with a focus on coastal ecology. Soon she understood that it would have been very difficult to stay in Australia because of the very strict rules regarding foreigners. In 2011 she had the opportunity to move to South Africa with a postdoctoral and she still lives there where she met the man who become her husband.
Coming to the current situation, certainly South Africa is the most developed part of all Africa and it is also the country which better managed the pandemic: «South Africa’s approach to this quarantine influences the way we are experiencing it. The president was able to understand the danger by seeing what was happening to the other countries and consequently declared the lock down before it was too late. The quarantine began on March 26 and we are still closed. Phase 4 begins on May 1st and more or less remains all the same, few shops will reopen. The cases in South Africa are less than five thousand with 85/90 deaths, very little compared to other countries in the rest of the world. Because of this, there is a certain satisfaction and we are quite comfortable and relaxed. My experience with the quarantine has been positive until now but of course I’m sorry that there are people who are starving, or older people who are afraid because they are more at risk. I have a certain level of confidence because I’m fine and my job has not been affected in any aspect, indeed my productivity has also increased. Besides, I’m with my husband all day long which I do not mind! There is always the underlying concern of what will happen to the economy worldwide, even if from an environmental point of view I’m happy that there has been a break on the pressures that affect the ecosystem».
The future of South Africa is uncertainty for Serena, regardless of the virus, because it is a very unstable country at the socio-political level, «indeed in this situation people showed more strength and support towards the country's authorities. However, there are still racial problems and a pandemic cannot take these things away. When we will go back to work and to our everyday life, meaning that the country reopens, there might well be an explosion of tourism to recover the lost time but on the other side there will be people who economically have to start it all over again. Interpersonal relationships will no longer be the same, maybe within five/six years you will return to normality but physical contact will be avoided as much as possible. So there will be more solitude. In my field we have noticed that a new scientific research process has started. This new research trend based on the coronavirus’ impact might last more or less for a decade. Researchers will have a great opportunity to explore many different research areas. There will be funds too, especially for those involved in the field of virology. Other types of research, from tourism to the economic and political field will be possible too».
Serena's fundamental fear is of a second wave when the country reopens and it is certainly everyone's fear, but she tries to stay positive, let's try it too!
CARLO
Videochiamata con Carlo (Alabama, USA)
Video call with Carlo (Alabama, USA)
[ITALIANO]
Professore universitario di Letteratura Comparata, si trasferì nel 1965 negli Stati Uniti, «difficile dire il perché, non lo so nemmeno io, forse un po’ ho seguito il mito americano mediato dalla letteratura di quel tempo». Dopo tanti spostamenti attualmente vive in Alabama con la moglie Serena. Carlo mi racconta che vivendo in un piccolo centro, sicuramente la situazione è migliore che in altri posti degli Stati Uniti, ma al contempo c’è anche tanta superficialità da parte della gente. «Siamo usciti una volta sola, ma con molta preoccupazione perché qui, a differenza dell’Italia che è un modello, se esci di casa è facile trovare gente che non si rende conto di quello che fa, non tengono le distanze, non hanno le mascherine, vanno in giro come se niente fosse, quindi è più pericoloso. È stato molto breve e rilassato il lock down, mentre in Italia c’è stato un controllo, qui vedi tanta gente che non rispetta la regola di rimanere a casa, non c’è sorveglianza, possiamo andare dove vogliamo. Credo che sia assolutamente sbagliato allentare adesso la quarantena perché ci sarà senz’altro una seconda ondata. La mia generazione non ha mai vissuto qualcosa di simile prima d’ora, giusto i miei genitori con la Spagnola».
Carlo è attualmente in pensione, ma continua a tenere delle conferenze all’università, in questo momento si sente un privilegiato: «penso a quanta gente è rimasta senza lavoro all’improvviso sia qui che in Italia che dappertutto, quindi mi sento un po’ colpevole a lamentarmi più di tanto». La tecnologia in questo momento è più che mai utile pensa Carlo: fanno la spesa online e dopo due ore arriva a casa, si può sentire con parenti e amici che non vede da tanto e tenere le lezioni con gli studenti online. Carlo però mi racconta che si sente la mancanza del contatto interpersonale e questo lo dimostra l’inconscio: «non mi era mai successo prima, un paio di volte mi sono svegliato gridando, stavo litigando con qualcuno, non mi ricordo i sogni, ma solo la frazione prima di svegliarmi. Anche Serena ha dei sogni stranissimi e questo è dovuto all’essere sempre isolati. Poi naturalmente c’è anche la mancanza di libertà perché anche se ho abbastanza film da vedere, musica da sentire e libri da leggere, per riempire la giornata in modo non totalmente noioso, quello però che manca è il sapere di essere liberi».
Per il futuro prossimo Carlo è ottimista: «non posso che vederlo positivo. Se guardi alla storia diversi virus sono stati sconfitti, come la Spagnola. È solo questione di avere pazienza, che può essere anche lunga, trovare prima la cura e poi un vaccino e quindi ritornare alla normalità, quando è un’altra storia. Penso che per un po’ bisognerà seguire delle regole, forse sarà un po’ difficile abituarsi, come ad esempio andare al ristorante e il più vicino ti starà a due metri di distanza, non è scontato e non credo che sia una cosa immediata. Qui per esempio si rifiutano di pensare che la cosa duri più di tanto, vivono nell’illusione che ad un certo momento magicamente tutto sparisca. Infatti l’università si sta organizzando per avere corsi normali con studenti e professori in classe, mentre io sono convinto che continueremo a farlo online, anche se è difficile abituarsi».
University professor of Comparative Literature, he moved to United States in 1965, «difficult to say why, I don't know, maybe I followed the American myth mediated by the literature of that time» After many trips he currently lives in Alabama with his wife Serena. Carlo tells me that where he lives, being a small center, the situation is better than in other places of United States but at the same time there is also a lot of superficiality from the people: «we went out only once, but with a lot of concern because here, unlike Italy which is a model, if you go out it is easy to find people who does not realize what they do. They do not keep their distance, they do not have masks. They go around as if nothing had happened, so it's more dangerous. The lock down was very short and relaxed here, here if you go out you can see so many people who do not respect the order to stay at home. There is no surveillance, we can go wherever we want. I think it is absolutely wrong to loosen the quarantine now because there will be sure a second wave. My generation has never experienced anything like this before, apart from my parents with the Spanish flu».
Carlo is currently retired, but continues to give lectures at the university, he feels privileged: «I think of how many people found themselves suddenly unemployed both here and in Italy and everywhere, so I feel a little guilty to complain too much». Carlo thinks that technology is more useful than ever, they do their food shopping online and after two hours it arrives at home. They can video call relatives and friends that haven't seen for a long time and take lessons with students online. But Carlo tells me that there is a lack of interpersonal contact and this is showed by the unconscious: «it had never happened to me before, a couple of times I woke up screaming. I was fighting with someone, I don't remember dreams, but only a second of that moment before I wake up. Serena also has very strange dreams and this is due to the prolonged isolation. Then of course there is also the lack of freedom because even if I have plenty of films to see, music to hear and books to read to fill the day without getting bored, what we miss is being free».
About the near future Carlo is optimistic: «I can only see it positive because if you look at history, several viruses have been defeated, like the Spanish flu. It's just a matter of being patient since it could take quite some time to find first of all a cure and then a vaccine. But going back to normal, that is another story. I think that for a while it will be necessary to follow the rules. Maybe it will be a little difficult to get used to it, such as going to the restaurant and having people two meters away. it is not obvious and I don't think it is immediate. For example here people refuse to accept the fact that it will take a long time, they live in the illusion that at a certain moment everything will magically disappear. For example the university is organizing regular courses with students and teachers in the same classroom and I am convinced that we will continue to do it online, even if it’s difficult to get used to it ».
AUDREY
Videochiamata con Audrey (Londra, Regno Unito)
Video call with Audrey (London, UK)
[ITALIANO]
Fondatrice di Beyond Chocolate, ovvero come avere una relazione sana ed equilibrata con il cibo. Audrey vive a Londra e si occupa di coaching piscoeducativo nel rapporto con il cibo e l’immagine del proprio corpo, tenendo corsi online individuali e di gruppo. «Lavoro con l’aspetto psicologico. Molte persone non sono in grado di controllarsi, hanno un approccio compulsivo al cibo che viene usato per sentirsi meglio, per distrarsi. Quindi mangiare per motivi che non sono legati né alla fame e né alla necessità di nutrirsi, ma che riguarda la sfera dell’emotività e questo crea un disagio psicologico per alcune persone. Può essere uno stress costante, di medio basso livello, che succhia tanta energia intellettuale, prende tanto tempo e fa spendere soldi. Tutti quei prodotti dietetici in realtà non funzionano e la cosa incredibile è che il mondo delle dieta è una delle uniche industrie, che quando non funziona il prodotto, viene detto al cliente che è colpa sua». Da cinque anni Audrey si è anche qualificata per diventare insegnante di Open Floor, un metodo che usa la danza per essere pienamente in sé stessi: fisicamente, emotivamente, mentalmente e spiritualmente. «È una danza libera e l’insegnante ti guida. Una sorta di meditazione, ma in movimento. L’obiettivo è quello di rimanere sempre connessi con le sensazioni e le emozioni che proviamo, i pensieri che ci girano in testa e di includere tutto questo nel modo in cui ci muoviamo. Esplorando così delle risorse di movimento si riesce a controllarsi e a gestirsi meglio quando si hanno delle grandi sensazioni o pensieri che mandano in tilt. Mettendo tutto questo carico emotivo in movimento, con il supporto di un insegnante che dà anche degli strumenti per muoversi diversamente, riusciamo ad essere più in sintonia con noi stessi e meno in balia dei nostri pensieri distruttivi e di forti emozioni che a volte non sappiamo gestire». Da sei settimane circa Audrey ha dovuto smettere le lezioni di danza ed è la cosa che più le manca. «La mia quotidianità non è cambiata tanto a livello di modalità lavorativa, in quanto sono tanti anni che il coaching lo faccio online perché la maggior parte dei miei clienti non sono a Londra, ma è cambiata molto a livello di quantità di ore che riesco a lavorare. Mio figlio sta a casa, non ha scuola e quindi mi ritrovo a dover gestire lui, il lavoro e la casa».
In questo periodo di lock down in Inghilterra c’è molta confusione in quanto il governo non ha dato delle direttive specifiche su come comportarsi in società. C’è chi rispetta le distanze e ha mascherina e guanti e chi invece sembra non sia neanche al corrente della situazione mondiale. «In realtà il governo ha lasciato al buon senso civico delle persone, quindi non ci sono tanti controlli, a volte nei parchi, o nei week end gira la polizia e se vedono che la gente si è riunita chiedono di allontanarsi. Talvolta fanno anche le multe, però poco, molto poco. Le prime quattro settimane non c’era nessuno in giro, le strade erano vuote, non c’erano macchine. Ad un certo punto evidentemente le persone si sono stancate e ora c’è molto traffico e parecchie persone sono pure tornate al lavoro, anche se non dovrebbero. Invece i negozi sono tutti chiusi».
Per il futuro Audrey non né positiva, né negativa. «Penso che dobbiamo capire meglio questo virus, in modo da poterci poi gestire nel rapporto con gli altri. Vedo tanta paura da parte di tutti perché c’è confusione, non c’è chiarezza. Sicuramente sarà un mondo diverso ancora per tanti anni. Quello che mi preoccupa molto è la situazione delle persone disagiate e di minorità etnica che per diversi aspetti sono molto più toccate da questo periodo che stiamo vivendo. A livello personale non sono molto preoccupata, a livello collettivo penso che stiamo andando verso un periodo molto, molto difficile per tante persone».
[ENGLISH]
Founder and author of Beyond Chocolate, a ground-breaking approach to weight loss and body confidence. Audrey lives in London and she’s a psychoeducational coach who teaches a healthy and balanced relationship with food and your body image. She gives individual and group online courses. «I work with the psychological aspect. Many people are unable to control themselves, they have a compulsive approach to food that is used to feel better, to be distracted. When eating is not drive by hunger and by the need to feed yourself but rather by emotions, it creates a psychological discomfort in some people. It can be a chronic stress which takes a lot of intellectual energy and time and makes you spend money. All those diet products don't actually work and the amazing thing is that the world of dieting is one of the only industries that accuses the customer when the product doesn't work».
From five years Audrey has also qualified to become an Open Floor teacher, a method that uses dance to be fully within yourself: physically, emotionally, mentally and spiritually. «It’s a free dance and the teacher guides you. A sort of meditation, but in movement. The goal is to stay always connected with the sensations and emotions that we feel. By exploring the resources of movement you can control and manage yourself better when you have great sensations or thoughts that send haywire. By putting all this emotional load into motion, with the support of a teacher, we are able to be more in tune with ourselves and less at the mercy of our destructive thoughts and strong emotions that sometimes we cannot cope with». For about six weeks Audrey stopped giving dance lessons and that's the thing she misses most. «My daily life has not changed so much in terms of work modality. I have been coaching online for many years because most of my clients are not in London. But it has changed a lot in terms of the amount of hours that I can work. My son is at home, has no school and therefore I find myself having to deal with him, my work and my home».
In this lock down period in England there is a lot of confusion since the government has not given specific directives on how to behave in society. There are those who respect distances and have masks and gloves and those who seem not to be aware of the world situation. «The government has left people with our own good civic sense, so there are not so many inspections. Sometimes in the parks or during the weekend the police stops people to avoid gatherings. They make fines but few, very few. The first four weeks there was no one around, the streets were empty, there were no cars. Then people obviously got tired and now there is a lot of traffic and many people have also come back to work, even if they shouldn't. Conversely, the shops are all closed».
For the future Audrey doesn’t take a position. «I think we have to better understand this virus, so that we will be able to cope with the situation and to manage the relationship with others. I see a lot of fear in everyone because there is confusion, there is no clarity. It will be a different world for many years to come. What worries me the most is the situation of disadvantaged and ethnic minority people who are much more affected by this situation. On a personal level I am not very worried. But on a collective level I think we are going towards a very, very difficult time for many people».